...Certo Goethe si annoiava a morte in quel Granducato di Weimar alla corte di Carlo Augusto, suo quasi coetaneo e amico.S´e`sempre mangiato bene in Turingia per carita`,(mica era come in Brandeburgo che prima di Federico II di Prussia manco le patate c´erano), ma la vita gli doveva scorrere in un torpore infinito.Passava i giorni tediosi tra un allestimento teatrale e la gestione finanziaria della piccola provincia tedesca. Goethe era il Veltroni teutonico .Da quando c´era lui in citta`, musica feste spettacoli gratuiti tutte le sere, e aveva trasformato Weimar nel centro culturale della Germania.
E poi con la povera tardona scassaballe della Charlotte von Stein, sempre alle calcagna che cercava di istillargli l´etichetta di corte.
Charlotte, invero, era una donna colta e sensibile, alla quale dobbiamo essere grati per avrer ispirato al giovanissimo Goethe non solo gli Inni poetici piu´belli,ma l´intuizione delle intuizioni; La necessita`di un passaggio dal titanismo sdrucito e fancazzista del cortigiano Werther al paganesimo enigmatico spinoziano dell´uomo d´azione Faust.
.Il rapporto con Charlotte e la conseguente rottura della loro relazione platonica segna un punto dinon ritorno nella letteratura tedesca.
Ai tempi de´ I dolori del giovane Werther, che ebbe un clamoroso successo editoriale, si andava tutti in giro in giro in frack azzurro e pantaloni gialli (quando Ikea non esisteva ancora) e il suicidio era di gran moda.Tanto che le Autorita`dell´Universita`di Lipsia, preoccupate per il crescente tasso di suicidi ,diedero un annuncio;" Poiché lo scritto del signor Goethe può impressionare i lettori, soprattutto quelli di carattere più labile, in maniera negativa, e svegliare i sensi di determinate donne istigandole alla corruzione, abbiamo deciso di intedirne la distribuzione."
Per fortuna poi inizio`a scrivere il Faust, gia`abbozzato negli anni precedenti ,consegnandoci cosi´ un madonna di eroe moderno, che fa entrare la Germania a pieno titolo nella cultura Europea emancipandola dall´eredita`di quel guerrafondaio frocio di Sigfrido.
Dicevamo,Goethe che si moriva di pizzichia Weimar,decise di scappare a notte fonda in carrozza verso l´Italia. Il suo viaggio accordatogli , come e`noto dal generosissimo e lungimirante Granduca Carlo Augusto, inizia come una fuga. Un viaggio verso le ignote terre del Regno delle due Sicilie.Quella era la meta! Non ci pensava proprio al Tirolo, al Gardasee e al Mugello come fanno ora gli stolti dei suoi conterranei radical-chic.
Parti`nel bel mezzo della notte, inincognito,con documenti falsi sotto lo pseduonimo di Filippo Miller alla volta di Roma.
Roma all´epoca era come la spiaggia di Pattaya, ma su 7colli. E i Dottori della borghese Mitteleuropa ci venivano volentieri, anche ci si puzzava tutti di fame. Con la scusa del Gran Tour venivano in cerca di figa e Dioniso tra le bagasce nostrane, quando i prussiani a Berlino ancora non avevano l´ Artemis.
Roma era un cadavere in putrefazione, in balia del malgoverno piena di ladri, mignotte e briganti e una poverta` estrema, ma Goehte non vedeva tutto cio´. A lui interessavano i trenini del carnevale romano piu´che i moralismi.
"Io posso dire che solamente a Roma ho sentito cosa voglia dire essere un uomo", disse Goethe, e che le donne di Roma la davano piu´delle nordiche.
Doveva essere una breve fuga, invece rimase ben due anni in Italia percorrendola tutta fino a Palermo.
Al suo ritorno dimentico`presto il pallido sentimento per la von Stein e si innamoro` della Christiane Vulpius, rimorchiata per strada e di 20 anni piu´giovane di lui.
Invecchio`e mori´ benissimo il nostro Vate, non gli vennero quelle brutte sopracciglia incolte alla Thomas Mann, foriere di pessimismo e noiose come i boschi dello Harz.
Vogliamo ricordarlo cosi´, in pose barocche seduto al tavolino di qualche Osteria di Trastevere, a ruttare paganamente tutta la sua felicita`al mondo, a sparare frottole,atteggiandosi alla maniera delle maschere italiane, mentre dall´oste si fa chiamare Filippo.
Peccato che gli stava sul cazzo Beethoven, chissa`perche´.Non s´e`mai capito.
Perchè non me lo hanno insegnato così a scuola? Sarebbe stato molto più divertente.
RispondiElimina@Gentediberlino: esatto!!! la mia prof di filosofia ci raccontava sempre, oltre alle loro teorie, i particolari strani della vita dei filosofi e ancora me li ricordo....mi sarebbe piaciuto sapere vizi e virtù dei grandi scrittori
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